Si osserva quindi, in via generale, che i “custodi” sono anzitutto i proprietari, come tali gravati dagli obblighi di manutenzione e controllo della cosa custodita.
Nel caso delle strade pubbliche, la relativa manutenzione è affidata al Comune che in virtù dell’art. 14 del D.lgs. n. 285/1992 (e successive modifiche), ha anche l’obbligo di “… verificare che lo stato dei luoghi consenta la circolazione dei veicoli e dei pedoni in totale sicurezza” (v. Cass. Civ., Sez. III, n. 23562/11). Dunque, in caso di sinistro stradale, è il Comune che risponde ex articolo 2051 c.c., dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente relativa manutenzione, salvo che non dimostri l’esistenza del caso fortuito.
Pertanto, al fine di poter agire vittoriosamente contro la Pubblica amministrazione ed ottenere il risarcimento dei danni fisici e/o materiali subiti, occorre che il soggetto leso dimostri la sussistenza del nesso di causalità tra la “res” in custodia (ovvero la strada) e l’evento dannoso.
Sarà poi la Pubblica amministrazione a dover provare che l’evento si è verificato per caso fortuito, ovvero per un fatto naturale o del terzo, oggettivamente non prevedibile, e tale da interrompere il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso denunciato, e quindi, tale da fare venire meno la responsabilità in capo alla Pubblica Amministrazione per il danno occorso al cittadino.
L’orientamento appena esposto, è stato confermato dalla più recente giurisprudenza di legittimità, che a tal riguardo ha inoltre chiarito che: «In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, ove sia dedotta la responsabilità del custode per la caduta di un pedone in corrispondenza della sconnessione o buca di un marciapiede, l’accertamento della responsabilità deve essere condotto ai sensi dell’art. 2051 c.c. e non risulta predicabile la ricorrenza del caso fortuito a fronte del mero accertamento di una condotta colposa della vittima (la quale potrà invece assumere rilevanza, ai fini della riduzione o dell’esclusione del risarcimento, ai sensi dell’art. 1227, comma 1 o 2 c.c.), richiedendosi, per l’integrazione del fortuito, che detta condotta presenti anche caratteri di imprevedibilità ed eccezionalità tali da interrompere il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno».
Sicché, in quest’ottica, è stato superato l’indirizzo giurisprudenziale precedente che sussumeva le ipotesi come quella di specie nell’alveo dell’art. 2043 c.c., in conseguenza del quale l’utente della strada aveva l’onere di provare la colpa della Pubblica Amministrazione, attraverso la dimostrazione della sussistenza sulla strada di un pericolo non prevedibile, configurante una vera e propria “insidia e/o trabocchetto”, oltre al dover dimostrare di non aver avuto una condotta imperita e negligente nella causazione del danno.
Secondo l’orientamento appena richiamato, infatti, “il danneggiato è tenuto a provare l'evento dannoso e la sua derivazione dalla cosa. Il custode deve viceversa dimostrare di avere espletato, con la diligenza adeguata alla natura e alla funzione della cosa in considerazione delle circostanze del caso concreto, tutte le attività di controllo, vigilanza e manutenzione su di esso gravanti in base a specifiche disposizioni normative, e già del principio generale del neminem laedere” (v. Cass., 20/2/2006, n. 3651).
Il superamento dell’impianto precedente è stato dettato dalla avvertita necessità di rendere meno gravoso l’onere in capo all’utente della strada di provare la responsabilità della Pubblica Amministrazione, così come confermato dalla giurisprudenza di legittimità, che al riguardo ha precisato che: “siffatta inversione dell'onere probatorio incide indubbiamente sulla posizione sostanziale delle parti, agevolando la posizione del danneggiato e aggravando quella del danneggiante, sul quale grava anche il rischio del fatto ignoto” (v. Cass., 27/6/2016 n. 13222, Cass., 9/6/2016, n. 11802; Cass., 10/10/2008, n. 25029; Cass., 29/9/2006, n. 21244; Cass., 20/2/2006, n. 3651. E gia' Cass., 14/3/1983, n. 1897)