L’articolo 111 della Costituzione sancisce il principio del giusto processo, prevedendo al secondo comma che “ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
L’art. 1 bis della Legge n. 89/2001 c.d. “Legge Pinto” ha previsto la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali o non patrimoniali che derivano dall’irragionevole durata dei processi, mediante quella che è stata definita un’equa riparazione.
Già l’articolo 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4 agosto 1955 n. 848, aveva stabilito che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole.
Tuttavia, è con l’emanazione della Legge Pinto che il Governo Italiano ha cercato ufficialmente di porre rimedio al problema dell’eccesiva durata dei processi, introducendo un procedimento volto a tutelare il principio di ragionevole durata dei processi sancito dall’art. 6 CEDU e dall’art. 111 della Costituzione, mediante l’accertamento della violazione del relativo diritto e la corrispondente quantificazione dell’indennizzo.
La Legge Pinto si applica indistintamente alle controversie civili, ai procedimenti penali, ai procedimenti amministrativi, alle procedure fallimentari ed ai procedimenti tributari.
L’articolo 2, comma 2 bis della medesima Legge prevede, poi, che il termine di ragionevole durata del processo è rispettato se non eccede la durata di 3 anni per i procedimenti di primo grado; 2 anni per i procedimenti di secondo grado; 1 anno per il giudizio di legittimità; 3 anni per i procedimenti di esecuzione forzata; 6 anni per le procedure concorsuali.
Il successivo comma 2 ter prevede in ogni caso che: “si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.
Ai fini della proposizione della domanda di equa riparazione è necessario il rispetto dei seguenti requisiti:
- l’irragionevole durata del processo;
- l’attuazione dei c.d. rimedi preventivi;
- l’esistenza di un danno e il nesso di causalità tra l’irragionevole durata del processo e il danno.
Quanto poi alle modalità di presentazione della domanda, la medesima si propone con ricorso che deve necessariamente contenere gli elementi prescritti dall’articolo 125 del codice di procedura civile e deve essere presentato al Presidente della Corte d’Appello del distretto in cui ha sede il Giudice dinanzi al quale si è svolto il primo grado del processo presupposto (art. 3 L. n. 89/2001).
Vi sono poi differenti organi amministrativi nei cui confronti deve essere proposto il ricorso: 1) il Ministero della Giustizia quando si tratta di procedimenti del giudice ordinario; 2) il Ministero della Difesa quando si tratta di procedimenti del giudice militare; 3) il Ministero delle Finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario; 4) negli altri casi è proposto nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri.
Inizialmente la domanda doveva essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla sentenza definitiva che definiva il giudizio durato oltre il termine “ragionevole”.
Tuttavia, di recente la norma è stata dichiarata parzialmente incostituzionale, prevedendo la possibilità di proporre la domanda di equa riparazione anche in pendenza di procedimento (Corte cost. 26/04/2018, n. 88).
Il procedimento si articola quindi in due fasi:
- Una fase necessaria, inaudita altera parte;
- Ed una fase eventuale, in contraddittorio e a cognizione piena, provocata dall’opposizione di una delle Parti.
Il magistrato designato deve comunque pronunciarsi sulla domanda di equa riparazione entro il termine di 30 giorni dal deposito del ricorso.
Per quanto concerne la misura dell’indennizzo, la Legge di Stabilità del 2016 ha commisurato gli indennizzi in una somma variabile tra un minimo di 400 euro ed un massimo di 800 euro per ogni anno o frazione di anno superiore a sei mesi che eccede rispetto al termine di ragionevole durata (art. 2-bis L. n. 89/2001). Detta somma può essere incrementata fino al 20 per cento, per gli anni successivi al terzo eccedente la durata ragionevole, e fino al 40 per cento per gli anni successivi al settimo.
La misura dell'indennizzo non può comunque superare il valore della causa presupposta (quella, cioè, che ha avuto l'irragionevole durata), o il valore del diritto accertato in quel giudizio dal giudice.
Dunque, ove si ritenga di essere stati vittima dell’eccesiva durata di un processo è consigliabile richiedere una consulenza legale al fine di valutare la sussistenza dei presupposti per richiedere il relativo indennizzo.