Come è noto, il termine mobbing (di definizione giurisprudenziale) è oggi diffusamente utilizzato nell’ambito lavorativo e si identifica in un attacco ripetuto e continuato con finalità persecutoria, diretto contro una persona o un gruppo di persone da parte del datore di lavoro, dei superiori o di pari grado.
Quindi il mobbing, lungi dall’essere un atto isolato o ripetuto sporadicamente, è un processo che si intensifica nel suo decorso, tanto che le persone che lo subiscono diventano il bersaglio di atti sociali negativi e sistematici, manifestando delle conseguenze devastanti dal punto di vista psicologico, con un impatto notevole anche nella vita di relazione. Le condotte mobbizzanti possono consistere in: pressioni o molestie psicologiche, critiche immotivate ed atteggiamenti ostili, attribuzione di compiti esorbitanti o eccessivi.
Nel corso degli anni la giurisprudenza ha inteso individuare diverse tipologie di mobbing, quali:
- bossing, realizzato dal diretto superiore o dai vertici dell’organizzazione;
- mobbing orizzontale: realizzato da colleghi di pari grado;
- mobbing verticale: realizzato da colleghi di grado superiore, ma anche inferiore;
- doppio mobbing: quando le ripercussioni del processo mobbizzante caricano di effetti negativi anche la famiglia del mobbizzato, che inizialmente ottiene la comprensione e l’accudimento dei familiari e poi subisce una condizione di distacco, quando la famiglia non è più in grado di gestire le conseguenze devastanti del mobbing patito dal proprio caro;
- mobbing trasversale: realizzato da soggetti che non ineriscono all’ambito lavorativo e che coadiuvano il mobber a peggiorare la situazione di emarginazione e frustrazione nei confronti della vittima.
Il mobbing ha effetti devastanti sul mobbizzato, il quale si trova ad essere danneggiato psicologicamente e fisicamente, nonché menomato della sua capacità lavorativa e della sua vita sociale, a causa anche dell’isolamento progressivo che ne è una delle conseguenze principali. Quali conseguenze invece per il datore di lavoro, magari ignaro, e più in genere per la produttività e l’ambiente lavorativo?
Il mobbing provoca un sensibile calo di produttività, posto che la vittima non lavora più con gli stessi ritmi e la stessa efficienza. Non si può escludere, infatti, che il mobbizzato esasperato inizierà a fruire di continuate assenze per malattia e non solo. La riduzione della produttività si manifesta anche considerando che, molto spesso, il mobbizzato si farà carico di attività che non riuscirà proficuamente a portare a termine; compirà errori indotti talvolta dal mobber; si dimetterà, causando ulteriori costi per il datore di lavoro, che dovrà trovare nuova forza lavoro da formare.
Questo studio si è occupato di un recente caso in cui il giudice ha riconosciuto che il licenziamento comminato al dipendente per il superamento del periodo di comporto, a causa del lungo periodo di malattia usufruito dal medesimo a causa del mobbing, debba essere considerato nullo.
Cosa fare se si è vittima di un processo di mobbing?
Il lavoratore che teme di essere vittima di un processo di mobbing potrebbe:
- informarsi: il mobbing è un fenomeno ormai riconosciuto;
- cercare l’aiuto e la solidarietà dei colleghi più “affidabili”;
- contattare i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza ed eventualmente il medico competente;
- considerare che, a fronte di un recente arresto della Corte di Cassazione, Sez. Lavoro, 14 maggio 2020, n. 8948, si è sostenuto che la tutela assicurativa INAIL si applica anche al mobbing, ovvero ad ogni forma di tecnopatia di natura fisica o psichica, che sia conseguenza dell’attività lavorativa svolta (quindi l’INAIL indennizza anche la malattia causata dalla condotta vessatoria del datore di lavoro);
- farsi assistere da un avvocato.
Non si dimentichi che il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da uno specifico onere della prova, nel ricorso introduttivo del giudizio, sulla natura e sulle caratteristiche del pregiudizio medesimo.