E’ innegabile che i social network siano ormai diventati parte integrante della vita quotidiana delle persone.
L’utilizzo delle piattaforme social, oltre ad aver rivoluzionato il modo di comunicare con gli altri e di vivere la realtà, ha determinato delle ripercussioni anche nell’ambito delle controversie giudiziarie, dove, sempre più spesso, l’attività posta in essere dagli utenti assume rilievo a vario titolo.
Ad esempio, la giurisprudenza ha ritenuto utilizzabili come prove documentali le informazioni pubblicate sul profilo personale di un soggetto.
Infatti, a differenza dei messaggi scambiati utilizzando le varie “app” di messaggistica istantanea - i cui contenuti, essendo ricompresi nella categoria della corrispondenza privata, rendono i medesimi messaggi coperti dalla privacy - le foto pubblicate e/o le informazioni “postate” sul profilo social personale, proprio in quanto destinate già di per sé ad essere conosciute da soggetti terzi, devono, al contrario, essere considerate informazioni conoscibili.
L’ulteriore dilemma che si è posto la giurisprudenza è se le relazioni intrattenute via chat possano configurare ipotesi di tradimento, e quali sono le conseguenze riconducibili a tali ipotesi.
Il primo quesito trova risposta affermativa.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che le relazioni ambigue intrattenute su “Facebook” o sui social network possono dare luogo a tradimenti virtuali.
E’ chiaro che affinché si possa parlare di “tradimento virtuale” occorrerà verificare che tipo di conversazioni vengono intrattenute via chat, e quindi indagare sul contenuto dei messaggi scambiati, prestando attenzione ai vari dettagli che caratterizzano il rapporto, quali, ad esempio, il linguaggio utilizzato dai soggetti interessati, al fine di comprendere che tipo di legame effettivamente intercorre.
Ove emerga un comportamento ambiguo nei termini innanzi descritti, detto comportamento potrà essere posto a fondamento dell'addebito della separazione, laddove si dimostri che lo stesso abbia causato in modo irreversibile la crisi dell'unione coniugale.
A tal riguardo, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 9 aprile 2015, n. 7132, ha chiarito che la pronuncia di addebito della separazione può fondarsi non soltanto sulla violazione dei doveri posti a carico dei coniugi dall'art. 143 c.c. (quali la fedeltà, l’assistenza morale e l’assistenza materiale), ma anche sulla continuativa ed unilaterale violazione del dovere di lealtà “tale da minare quel nucleo imprescindibile di fiducia reciproca che deve caratterizzare il vincolo coniugale”.
Peraltro, a conferma di tale orientamento, con una recente pronuncia, la Corte di Cassazione ha dato rilievo anche al necessario rispetto della dignità e del decoro del coniuge, precisando che la relazione dell’altro coniuge con estranei, anche laddove non si traduca in una reale relazione extraconiugale ma in una relazione virtuale, rende addebitabile la separazione ai sensi dell'articolo 151 c.c.: “quando, in considerazione degli aspetti esteriori con cui è coltivata e dell'ambiente in cui i coniugi vivono, dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e quindi, anche se non si sostanzi in un adulterio, comporti offesa alla dignità e all'onore dell'altro coniuge” (cfr. Corte di cassazione – sez. VI civ. – ordinanza n. 8750 del 17-03-2022).